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Il recupero endovascolare di corpi estranei

In passato, i corpi estranei intravascolari dovevano essere rimossi con un intervento chirurgico; attualmente il recupero con metodica percutanea è diventata una tecnica sempre più applicata in tutto il mondo, dopo la sua apparizione, circa 40 anni fa, tanto da emarginare completamente la soluzione più invasiva.

I corpi estranei comunemente riscontrati sono quelli nel territorio venoso: i frammenti dei cateteri venosi centrali [i cateteri venosi centrali trovano una massiccia applicazione nella medicina; sono utilizzati per la somministrazione di farmaci, infusione di chemioterapici, nutrizione parenterale – si dividono in inseriti perifericamente, parzialmente impiantabili e totalmente impiantabili questi ultimi due tipi sono quelli più utilizzati, perché sono stati i primi presentati, hanno un calibro maggiore e vengono posizionati molti spesso prima di un intervento chirurgico, per consentire il monitoraggio dei parametri vitali; la via d’inserzione maggiormente impiegata è stata quella succlavia – la posizione compressa del catetere, tra la prima costa e la clavicola, il continuo passaggio di sangue, le escursioni respiratorie, la lunga permanenza del catetere creano le condizioni per una fissurazione e il successivo distacco – questa condizione può essere prevenuta con l’impianto del catetere a livello giugulare o nella porzione più laterale della vena succlavia], quelli per la misurazione delle pressioni polmonari, di guide. Nel territorio arterioso sono presenti spirali, migrate dalla originaria sede di rilascio o stent.

Tali eventi sono stimati nell’ordine dell’1% per quanto riguarda i cateteri venosi centrali, ma la mortalità e la morbilità associati si aggirano nell’ordine del 24-60% [possono causare tromboembolia perché ostacolando il flusso venoso, diventano il centro di aggregazione delle piastrine, lesioni e/o perforazioni del miocardio, perché il flusso vorticoso del ritorno venoso li spinge contro le pareti del ventricolo, aritmie cardiache, perché il traumatismo sulle pareti del cuore può alterare la regolarità del battito e della trasmissione dell’impulso nervoso]. Per tali motivi occorre rimuoverli al più presto, finchè sono all’interno del circolo venoso sistemico, dove il grosso calibro dei vasi garantisce maggiori percentuali di successo, prima che migrino all’interno del letto polmonare, dove diventa più difficile la loro estrazione.

Tecnica

Deve essere posizionato un introduttore vascolare, in sede femorale o giugulare, almeno di 8 Fr di calibro, per favorire la definitiva cattura del corpo estraneo recuperato; talvolta si taglia artigianalmente solo la porzione più periferica dell’introduttore, per conferirgli un maggiore diametro trasversale e facilitare l’alloggiamento della porzione piegata del corpo estraneo recuperato [l’accesso femorale destro è superficiale, è vicino alle mani dell’operatore, il diametro è tale da consentire il posizionamento dell’introduttore, la rimozione del corpo recuperato e la compressione contro il femore al termine della procedura, consente di raggiungere con facilità tutte le sedi dove maggiormente si localizzano gli oggetti da recuperare – l’accesso giugulare può essere impiegato se il paziente ha una storia di trombosi venosa profonda o ha eseguito interventi chirurgici all’inguine o di rivascolarizzazione – l’accesso succlavio è l’ultimo ad essere considerato per la difficoltà ad effettuare la compressione finale, la stretta vicinanza con l’arteria e il lobo superiore del polmone].

Il presidio maggiormente impiegato è un catetere a cappio in nitinol, che presenta un diametro predefinito del cappio, la memoria alla conformazione predefinita del nitinol e la possibilità di sviluppare una forza notevole nel cappio. Esistono anche presidi artigianali [catetere angiografico cobra + guida idrofilica 0,018” – il catetere angiografico pigtail 6 Fr, con estremità angolata di 45 gradi, utile per trascinare il frammento via da sedi indesiderate per lavorarci, come l’atrio e il ventricolo ], o le pinze per la biopsia cardiaca.

Dopo aver introdotto un filo guida, si fa scivolare su di esse un catetere guida o un catetere angiografico, preformato in punta, in modo da avvicinarsi all’oggetto da recuperare; una volta raggiuntolo, si sostituisce il primo catetere con quello a cappio e lo si apre nella sede di una delle estremità dell’oggetto o vicino alla sua porzione libera, in modo che il cappio venga ad interporsi tra l’oggetto e la parete venosa; una volta stretto il cappio nel punto intermedio del corpo estraneo, l’oggetto può essere trascinato verso l’introduttore, sotto il diretto controllo fluoroscopico, in modo da escludere una eventuale perdita lungo il tragitto.

Sempre più articoli scientifici riportano esperienze positive nel recupero; la percentuale di successo supera il 90%, con quasi nulle complicazioni.
L’ulteriore attrazione di questa soluzione è che possono essere trattati anche soggetti in grave condizioni cliniche, ad elevato rischio chirurgico e/o anestesiologico.
La soluzione chirurgica può essere tentata solo quando la rimozione endovascolare non ha raggiunto il suo scopo.