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Cura dell’Ipetrofia prostatica benigna senza chirurgia

Ipetrofia prostatica benigna senza chirurgia: cosa si dice nel mondo sull’embolizzazione delle arterie prostatiche

La revisione della letteratura internazionale per l’ipetrofia prostatica benigna senza chirurgia, risente della differente modalità di selezione dei pazienti da parte dei vari autori, delle differenti opzioni terapeutiche impiegate e quindi dei risultati ottenuti.

Nonostante ciò, sebbene sia una tecnica sostanzialmente recente, e ancora priva di un follow-up nel lungo periodo, l’embolizzazione delle arterie prostatiche si è dimostrata essere un’opzione terapeutica globalmente sicura, contribuendo a ridurre la sintomatologia delle sindromi delle basse vie urinarie, migliorando la qualità di vita dei pazienti, con una modica quantità di complicazioni, per lo più minori.

Per poter validare in toto la sua autorevolezza, e proporne un più vasto impiego, anche nelle linee guida internazionali, sono necessari ancora ulteriori approfondimenti.

La prevalenza dell’ipertrofia prostatica benigna cresce con l’avanzare dell’età, raggiungendo la percentuale dell’80% nei soggetti maschi oltre i 70 anni; di loro, solo il 25% presenta sintomi delle basse vie urinarie moderati-severi, con alterazione della qualità della vita.

Dapprima i trattamenti medici, e poi quelli chirurgici, migliorano la funzione urinaria, riducendo i sintomi. La chirurgia viene raccomandata nella gestione dei pazienti che mostrano un ripetersi dei fenomeni infettivi delle basse vie urinarie, nonostante un congruo periodo di terapia medica, o un blocco acuto all’emissione di urina, per cui occorre ricorrere al posizionamento di un catetere, o compare una insufficienza renale a causa dell’ostacolo rappresentato dalla prostata ingrossata, oppure sono presenti calcoli vescicali.

La TURP (resezione della prostata per via transuretrale) è considerata la migliore opzione terapeutica chirurgica e il punto di riferimento con cui confrontare tutte le altre opzioni, che via via vengono presentate, alla scopo di diminuire gli effetti collaterali e le complicazioni della stessa (presenta una bassa morbilità nel breve periodo, come il sanguinamento – molto più consistenti sono gli effetti sul lungo periodo: contrattura del collo vescicale 9,8%, stenosi dell’uretra 9,2%, eiaculazione retrograda e disfunzioni erettili – l’incremento delle complicazioni nei pazienti più anziani, magari con comorbilità, o con una prostata molto grande, ne limita l’applicazione in questi casi – ecco perché sono state proposte altre alternative).

Ipetrofia prostatica benigna senza chirurgia: l’embolizzazione

L’embolizzazione delle arterie prostatiche rappresenta una soluzione endovascolare, mininvsiva, per trattare l’ipertrofia prostatica benigna (il primo caso riportato in letteratura è del 2000: il paziente ha presentato un netto miglioramento dei sintomi e una riduzione del volume della prostata – ad oggi, in letteratura sono riportati più di 2.000 pazienti trattati).

L’obiettivo primario da ottenere è la riduzione del punteggio IPSS (un questionario validato e accettato a livello internazionale, che aiuta a valutare l’entità del quadro clinico, attribuendo punteggi ad ogni sintomo). Successivamente si vuole conseguire un miglioramento della qualità della vita (QoL), una riduzione del volume della prostata (PV), una diminuzione del PSA, una diminuzione del residuo post-minzionale all’ecografia (PVR), l’incremento del getto urinario (Qmax). Vanno registrati anche le complicazioni (la classificazione della SIR identifica le complicazioni minori quelle che comportano un più lungo periodo di osservazione e la somministrazione di farmaci antipiretici e antidolorifici – la sindrome da post-embolizzazione è connessa all’opzione terapeutica, anche se solo nel 3% ha assunto caratteristiche degne di nota, con febbricola, dolore pelvico, sensazione di bruciore ad urinare – le complicazioni maggiori sono quelle che determinano una ospedalizzazione del paziente e una maggiore somministrazione di farmaci: ischemia della vescica, trattata con la chirurgia, dolore perineale per tre mesi) e i successi tecnici e clinici.

I criteri d’inclusione sono stati l’età (maggiore di 55 anni), un IPSS maggiore di 18, una refrattarietà alla terapia medica (o la comparsa di effetti collaterali), regolarmente condotta per 6 mesi, la presenza di un catetere a permanenza, l’ineligibilità al trattamento chirurgico, un Qmax inferiore a 15 ml/sec, un volume prostatico accertato alla RM superiore a 50 cm3. Le particelle impiegate sono state le embosfere 300-500 micron, l’approccio preferito è stato quello brachiale.

I criteri di esclusione sono stati la presenza di una malignità prostatica, accertata alla RM e dopo biopsia, la presenza di diverticoli e calcoli vescicali, vescica neurologica, arteriosclerosi marcata alla ricostruzione vascolare della RM.

Ipetrofia prostatica benigna senza chirurgia: analisi

I risultati della metanalisi hanno compreso 1254 pazienti e sono in linea con quelli registrati nel nostro piccolo campione di pazienti trattati con la soluzione endovascolare.

A distanza di un anno dall’intervento, tutti gli indici esaminati mostrano un miglioramento, in presenza di basse percentuali di complicazioni; questo significa che l’embolizzazione può giocare un importante ruolo nella terapia dell’ipertrofia prostatica benigna, specie nei soggetti ad elevato rischio di comorbilità e nelle prostate volumetricamente maggiori.

Il successo tecnico è riportato in un range del 76-100%, indipendentemente dal numero di arterie embolizzate, anche se tutti gli autori sono concordi nel sostenere che il successo clinico maggiore lo si ottiene con l’embolizzazione bilaterale (più del 50% dei pazienti ha fatto registrare un duraturo miglioramento dell’IPSS, del Qmax, della qualità della vita e hanno sospeso la regolare assunzione di farmaci – nel caso della rimozione del catetere, l’embolizzazione unilaterale ha mostrato i risultati meno validi).

Molti autori hanno proposto l’impiego dell’angiografia nello studio preparatorio all’intervento, per documentare l’anatomia vascolare e la fattibilità dell’intervento (uno dei motivi di esclusione è la severa arteriosclerosi, alla tortuosità dei vasi, che predispongono all’insuccesso tecnico dell’intervento – al suo posto, si sta facendo strada la RM, con la ricostruzione vascolare, che ha lo scopo anche di delineare le caratteristiche strutturali della ghiandola, potendo escludere la presenza di una neoplasia).

La riduzione volumetrica della prostata è uno degli obiettivi da conseguire, visto che anche la TURP consegue una diminuzione delle dimensioni della prostata e riduce la pressione all’interno della vescica; ad 1 anno di distanza dall’embolizzazione, la riduzione volumetrica media è di 15 cm3, inferiore a quella conseguita con la TURP. In grado di determinare comunque un miglioramento dell’IPSS di 12 punti, di migliorare la qualità della vita, di migliorare il flusso urinario di almeno 6 ml/sec. La ricrescita della prostata è un fenomeno conosciuto ed atteso nell’ambito della TURP: questo spiega la percentuale di reinterventi del 15% dopo la chirurgia, in un arco di 8 anni. I miglioramenti immediati dei vari indici sono a vantaggio della TURP, ma a distanza di 1 anno, risultano essere sovrapponibili.

Ipetrofia prostatica benigna senza chirurgia: vantaggi e obiettivi

Il miglioramento delle funzioni sessuali è un’altra positiva conseguenza dell’embolizzazione; questo fattore rappresenta un altro punto a vantaggio della opzione endovascolare, vista la percentuale di disfunzioni erettili dopo TURP. Inoltre, la conservazione dell’eiaculazione anterograda gioca un importante ruolo nella decisione su quale soluzione terapeutica intraprendere.

Un altro elemento a vantaggio della tecnica endovascolare è la presenza di una percentuale molto bassa di complicazioni. Se si considera la sindrome post-embolizzazione come connaturata alla soluzione endovascolare, le complicazioni minori sono praticamente assenti.

L’utilizzo della cone beam angiography consentirebbe di azzerare le complicazioni da embolizzazioni indesiderate, aiutando ad individuare il vaso prostatico da embolizzare, ma non appare essere determinante alla riuscita dell’intervento.

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