Iperplasia prostatica benigna: l’embolizzazione delle arterie prostatiche
Nell’ultimo decennio è stata presentata l’opzione dell’embolizzazione delle arterie prostatiche per trattare l’ipertrofia prostatica benigna e i sintomi da essa derivanti.
Il principio su cui si basa è quello di arrestare il rifornimento arterioso all’adenoma prostatico, interrompendo il circolo che sostiene la proliferazione cellulare.
Ha dimostrato di essere in grado di diminuire il volume della ghiandola, quel tanto da essere sufficiente a risolvere la sintomatologia e a migliorare la qualità della vita, in un modo molto più sicuro dei trattamenti chirurgici.
Inoltre, non impedisce, qualora si dimostrasse inefficace, di ricorrere alla soluzione chirurgica. Sebbene ci sia una continua evidenza di un raggiungimento di buoni risultati, pur tuttavia, non è stato ancora pienamente accettato dalla comunità scientifica urologica, tanto da non essere inserito nelle linee guida internazionali.
Entra in scena la Radiologia Interventistica con l’embolizzazione delle arterie prostatiche
Effettuata per la prima volta nel 2000, su un paziente che sanguinava dopo una TURP, l’embolizzazione non solo fu in grado di controllare l’emorragia, ma determinò anche una riduzione volumetrica della prostata del 50%.
Dalla lettura di vari articoli internazionali, in particolare tra quelli della scuola di Pisco, che presentano la casistica più numerosa, con
l’embolizzazione delle arterie prostatiche, la riduzione volumetrica media è stata del 25% per avere un successo clinico e un miglioramento della qualità della vita, da 12 a 21 punti.
Inoltre, è stato visto da più operatori che esiste un sottogruppo di pazienti che può realisticamente trovare giovamento dall’embolizzazione delle arterie prostatiche : coloro i quali presentano un volume ghiandolare superiore agli 80 mL. Questi traggono un beneficio limitato dalla TURP, molto spesso non sono candidati ideali alla prostatectomia a cielo aperto, sia per l’invasività dell’intervento, ma soprattutto per le complicazioni ad esso associate.
A supporto di questa tesi, c’è l’articolo di Wang, che ha confrontato i suoi risultati tra i pazienti con prostate > 80 mL e quelli con volumi tra 80 e 50 mL., confermando che i benefici maggiori erano tra coloro che presentavano prostate maggiori all’ingresso in ospedale.
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