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Aggiornamenti in campo epatologico: HCC

L’HCC, epatocarcinoma, è in costante aumento d’incidenza, nonostante tutte le malattie facciano segnare un segno inverso: di decremento d’incidenza; l’EASL segnala che in Europa, l’Italia è tra i paesi con la maggiore presenza di HCC.

Mentre gli HCC che si sviluppano su HBV risultano essere compensati, il trattamento medico nei pazienti HCV migliora il quadro clinico, ma non incide sull’ipertensione portale e sull’HCC: si assiste ad un aumento di HCC legati all’alcool, al cibo, ai pesticidi; questi ultimi presenti anche nel tabacco; s’inizia a parlare di una malattia sempre più ambientale. La dieta mediterranea sembra svolgere un’azione protettiva sul fegato, quindi spiega la minore incidenza di tale neoplasia nel sud d’Italia (esclusa la Campania).
Gli HCC non virali cresceranno nei prossimi anni, mentre scenderanno quelli legati ai virus – avremo sempre più anziani con HCC, con minore possibilità di andare al trapianto, a meno che non si amplino i criteri – si trovano sempre più noduli piccoli e in stadio precoce, ma in pazienti con maggiori comorbilità – la percentuale di sopravvivenza continua a non essere elevata – con questo trend, l’HCC potrebbe diventare una complicazione della cirrosi, alla stregua dell’ipertensione portale, che però presenta sintomi meno aggredibili – l’alfa-fetoproteina continua ad essere di poco aiuto – se lo screening passa da 6 a 3 mesi aumenta il rischio di trovare lesioni piccole, difficilmente classificabili; aumenterebbe l’ansia del paziente e la rincorsa ad altri esami per avere una diagnosi.

La sorveglianza si è dimostrata valida nel monitorare la situazione epatica, specie nei pazienti a rischio; è la ripetizione sistematica dello screening. E’ accettata da medici e pazienti; è economica; è consigliata in tutti i cirrotici in stadi A e B, mentre nei C solo se i pazienti sono in lista di trapianto. Questo consente di effettuare la terapia in stadio precoce e comporta un aumento di sopravvivenza. E’ previsto un intervallo di 6 mesi tra i vari controlli; dovrebbe essere effettuata da operatori dedicati. In alcuni pazienti, la sorveglianza non riesce ad evidenziare noduli: per la sede della patologia, per la presenza di meteorismo intestinale, per le caratteristiche della macchina ecografica o per la limitatezza degli operatori – in questi casi, la RM potrebbe diventare una utile e obbligatoria soluzione – sulla base delle dimensioni, si accetta che lesioni inferiori ad 1 cm non dovrebbero essere HCC: ancora una volta, la RM può essere di valido aiuto.

La sopravvivenza a 3 anni è del 64%, mentre quella a 5 è del 45%. Abbiamo assistito ad un incremento della sopravvivenza a 5 anni, passata da 10 a 45%, negli ultimi 15 anni. Questo grazie anche alla comparsa di linee guida, che si modificano e si adattano sulla base delle nuove scoperte e del miglioramento tecnologico; aiutano ad orientare il clinico nella gestione del malato.

Si concorda per l’importanza della diagnosi radiologica, che ha ridotto il ricorso alla biopsia; è stato eliminato il ricorso all’ecografia con mdC; troppi falsi positivi in fase arteriosa, dove si è dimostrato che non avevano una ipointensità in fase tardiva della RM: potrebbero essere colangiocarcinomi o altro – potrebbero essere persi alcuni casi di piccoli HCC, di 1-2 cm.

La RM assume sempre di più il ruolo di gold standard per la diagnosi di noduli molto piccoli. La TC li individuerebbe, ma la RM li caratterizza – ipointensità in fase tardiva + iperintensità in fase arteriosa + capsula iperintensa in fase venosa sono i tre criteri che caratterizzano meglio l’HCC – il “wash-in” e il “wash-out” sono parametri qualitatitivi: la loro misurazione con le unità Hounsfield potrebbero garantire anche un valore quantitativo; la validità di tale segno radiologico tende a diminuire se la lesione epatica è inferiore ad 1 cm. L’impiego di un mezzo di contrasto epato-specifico, come il Primovist aiuta molto di più nella loro caratterizzazione.

La biopsia ha un rischio di seeding molto basso, un rischio di sanguinamento molto basso; utilizzano l’ago 21G. Un ago cannula 18 G, lungo 10 cm, in cui fare operare un ago per biopsia 21G + spongostan alla fine: potrebbe essere una soluzione per il sanguinamento?.
In futuro, potrebbe prevalere il ricorso alla biopsia se prevarrà l’aspetto molecolare nella diagnosi e nella terapia del paziente.